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Giancarlo Sacconi

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Il pragmatismo

La politica post ideologica.

Nel tempo dell'ideologia i riferimenti erano la memoria, la tradizione con i suoi vincoli, che determinavano continuità.

Tramontati i vincoli ideologici e spazzati via i vecchi dirigenti di partito, la nuova classe dirigente non sa e non può raccogliersi intorno a nuclei stabili di pensiero.
Da qui la frammentazione dei vari partiti e l'approdo ad un pragmatismo che significa semplicemente passare con noncuranza da uno ad un altro tema, prendere e abbandonare le cose, con la quotidianità vissuta subito dimenticata. Tutto si consuma nell'arco di brevissimo tempo.
Il linguaggio politico passa da un argomento all'altro con estrema facilità: dichiarazioni, interviste, smentite, pentimenti, abbandoni, ritorni.

Tutto è vissuto nel provvisorio e nel contingente. Nessuna chiara indicazione di direzione, che vincoli nel tempo la volontà politica. Si prende fuoco per una riforma importante, con il moltiplicarsi di interviste e accuse reciproche, e poi si abbandona tutto con sconcertante facilità sia da una parte che dall'altra.

La cultura politica scomparsa.
Si spiega così l'assenza o la povertà di cultura politica, di dibattito intorno a ideali e visioni di vita, di polemiche che non si restringano ed esauriscano nella "chiacchiera" quotidiana.
Cultura significa tendere verso una meta. Cultura è anche orientamento, e questo orientamento è sempre teso ad un ideale..

Non c'è cultura del pragmatismo, (un termine con cui si vuole descrivere la situazione italiana di oggi -maggio 2009, che ha poco a che vedere con i grandi teorici del pragmatismo americano, gli Emerson, Pierce, James, Dewey).

Questo nostro pragmatismo,
UN PRAGMATISMO DELLA QUOTIDIANETÀ

 non si orienta verso una meta, perchè si dissolve nel giorno dopo giorno, e non indica fini lontani. Quindi non ha niente da proporre come ideale o come ragione unificante della popolazione.

La Cultura è storia che raccoglie tradizioni del passato, ma guarda anche al futuro; dà un senso all'azione di oggi ed una prospettiva a quella di domani.
E questo ruolo non può essere svolto dal pragmatismo.




  La formazione delle élites.

Questo Pragmatismo non permette la formazione di élites. Non a caso laddove si ritrovano uomini politici preparati, lì sopravvive una cultura pregressa.

Le élites (o classi dirigenti), sono minoranze direttive, capaci di indicare indirizzi di vita comune e di orientare il corso stesso delle cose.

I vecchi laboratori della politica sono stati sostituiti da Fondazioni e Associazioni a sfondo culturale che organizzano convegni e qualche manifestazione, senza una reale presa a livello diffuso.

Non esiste una classe parlamentare perchè ad ogni elezione si assiste alla formazione di eleggibili (poi eletti) che non traggono la loro legittimazione da una formazione culturale, ma da episodi occasionali.
Così abbiamo una larga schiera di parenti di potenti, vedove di servitori dello Stato che hanno perso la vita nello svolgimento del proprio dovere, come si dice, ragazze di bell'aspetto, ancora le vedove dei Radicali, secondo una scelta del tutto arbitraria dei capi-partito.

Le élites hanno bisogno di identità culturale e organizzativa, ma non è certo questa la strada per giungervi.
Naturalmente anche il pragmatismo ha una sua logica, che si traduce nell'azione fine a sé stessa, nella decisione improvvisata come tecnica di governo, che vive nella quotidianità del qui e ora.

Questo però comporta anche crisi dei vincoli di lealtà e fedeltà. I gruppi si compongono e scompongono; gli individui passano dall'uno all'altro schieramento senza pudore, mancando un vincolo unitario di scopi e attese.

Mentre le ideologie conoscevano una stretta adesione ai principi del partito, ma anche eresie,  la politica pragmatica non si preoccupa che di provocare "ribaltoni" da costruire di volta in volta, secondo un accordo o disaccordo del tutto contingente. Si spiega così la quotidiana proposta di "tavoli", "intese", "confronti" o simili formule del "buonismo" politico: le quali non esprimono libertà di pensiero e coerenza di condotta, ma piuttosto vuoto di convinzioni, povertà di cultura, disponibilità al trasformismo. Alla vecchia e nobile intransigenza si sostituisce ora l'adattabilità alle esigenze del momento. Il “dialogo” degrada a pura forma, riempibile di qualsiasi contenuto.

La verità di una concezione poggia esclusivamente sulle sue relazioni con la condotta della vita.