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Giancarlo Sacconi

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Laicità

La laicità viene normalmente intesa in un significato che assomiglia in prevalenza all’anticlericalismo, cioè una sorta di difesa culturale contro le soluzioni proposte dalle Chiese e contro l’interferenza di queste negli affari dello Stato.
La laicità dovrebbe superare l’atteggiamento negativo di fronte alle fedi religiose, e considerarle invece come una forza tra le forze, con cui confrontarsi.
E per fare ciò la laicità dovrebbe assumere una posizione propositiva che affronti i basilari temi della concezione dello Stato e della vita, che elabori una visione unitaria del mondo e dell'uomo, che prenda posizione sulla tecnica, che offra insomma soluzioni alle domande attraverso un “pensiero”.

Di solito, alle verità inconfutabili proposte dalla Chiesa non si va oltre ad un generico richiamo alla libertà individuale, ciò che presenta una povertà filosofica tipica di ogni pragmatismo
Abbandonando invece comportamenti che non di rado cedono allo snobismo, ed accettando la discussione nel reciproco rispetto, la laicità ne avrebbe tutto da guadagnare perché si riempirebbe di nuovi contenuti ideali, e, magari tra contrasti e dissensi, di franchezza e serietà politica.
Ciò porterebbe ad una maggiore coscienza dei problemi: quella coscienza raggiungibile solo grazie al conflitto tra le idee e alla lotta tra filosofie di vita. La fede in una realtà soprannaturale, nel suo volersi trasferire nel campo delle scelte politiche, può essere un utile stimolo per far emergere altre e opposte visioni del mondo, le quali, sostenitrici di
• una radicale immanenza
• aperte allo sviluppo della tecnica e
• al più largo esercizio delle libertà individuali,
potrebbero considerare la dimensione religiosa come una fonte di sapere al pari di altre e quindi a meglio radicarsi nella concreta situazione sociale e storica.

Il problema della laicità non trova risposta nell'art. 7, 1° comma, della Costituzione: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. Non potendo infatti stabilire i contorni di questi due ordini, ciascuna parte lo definisce per proprio conto: Da qui i secolari conflitti fra Stato e Chiesa. Difficile anche una demarcazione tra il fedele e il cittadino, che ciascuno risolve all’interno della coscienza individuale.


La fede religiosa vuole tutto l'uomo per sé, e rifiuta allo Stato la competenza di decidere ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio. Il Cardinale Angelo Scola definisce la laicità dello Stato come “non identificazione con nessuna delle parti in causa, cioè dei loro interessi e delle loro identità culturali, siano esse religiose o laiche” ma ritiene da superare la “riduzione della religione a fatto privato, senza rilevanza e liceità pubblica”. Delinea uno Stato “non confessionale e non neutrale” “Lo Stato protegge il libero dibattito delle idee e delle proposte legislative, ma non è indifferente al risultato del confronto democratico tra le parti. Al contrario, è tenuto ad assumerlo”.
Queste parole sembrano ineccepibili dal punto di vista del confronto democratico, perché tutto viene rinviato ad un problema di numeri.
Ma quando la scelta non è conforme alla posizione della Chiesa si assiste al rifiuto di questa di accettare la decisione elettorale, e non potrebbe essere diversamente se si ha fede in una verità rivelata. Così la Chiesa si innalza a giudice di Cesare in nome di Dio.

E chi si illude di separare la sfera pubblica della politica dalla sfera intima della fede si troverà sempre impreparato ad affrontare un conflitto con altre e opposte interpretazioni della vita, assumendo così l’atteggiamento di rifiuto e di negazione dell'esperienza religiosa e innalzando il muro dell'estraneità.


Dire Stato è dire laicità.
Lectio di Massimo Cacciari. Perugia. 20 giugno 2009.
Dire Stato è dire laicità.

 

Lo Stato è laico per definizione, è laico per essenza.
Lo Stato nasce da una lunga lotta che poteri laici, poteri secolari rappresentanti di ceti sociali, di classi sociali ben definite, ben determinate, conducono contro ogni formula di ierocrazia.
Lo Stato nasce da questa lotta politica e non solo politica, ma anche culturale e filosofica.
Quindi è impensabile storicamente uno Stato moderno non laico.
L' atto d'origine, di nascita è questo.

 

I processi evolutivi dello Stato laico.

I Risorgimenti europei non sono altro che un momento, un episodio di questa storia che inizia tra il 200 e 300 con l'affermarsi di nuove classi sociali, di nuove culture politiche, di nuove filosofie, di nuove scienze. All’inizio esprime una situazione incerta, insicura. Tipica è la posizione dantesca per andare solo ai vertici sommi di questo travaglio secolare. Perché da un lato Dante afferma con estrema chiarezza l'autonomia dell’imperium nei confronti del sacerdotium, contro una secolare tradizione precedente. Ma nella complessità della visione dantesca, allo stesso tempo, è evidente che un primato spirituale spetta al sacerdotium.
Questo era proprio anche dei dottori medievali che affermavano da un lato l'autonomia della loro ricerca, erano i magistri cattedrae semplicemente, i dottori, e dall'altra parte riconoscevano la superiorità dell’autorità spirituale dei magistri cattedrae spiritualis, che erano sostanzialmente i vescovi.
Quindi per un secolo, un secolo e mezzo c'è una situazione di grande incertezza.

 

La svolta del XIV secolo.

Il nodo gordiano viene tagliato dalla cultura europea con Marsilio già nel corso del XIV secolo. Da lì faticosamente matura ,culturalmente, filosoficamente, ancora prima, e poi praticamente e politicamente, la nascita di quel prodotto tipico dello spirito europeo che è lo Stato moderno contemporaneo.
Naturalmente la storia è molto più complessa. Noi sappiamo che lo Stato moderno contemporaneo nasce anche ereditando molti tratti dell'organizzazione ierocratica, riassumibili nella forte organizzazione centrale del papato nei suoi momenti più aurei, la forte coesione tra l’organizzazione periferica, l'insieme dei vescovi, il concilio, e il centro papale. Questo è un grande modello per la formazione dello Stato moderno contemporaneo. Quindi nessuna astratta separatezza come se ci fosse da una parte la storia del sacerdotium e dall'altra la storia dell'imperium, senza porte né finestre, queste sono visioni risibili da un punto di vista storico e scientifico.
Lo Stato moderno consapevolmente eredita l'idea centrale dell'organizzazione centralistica propria dell'autorità spirituale.
Tuttavia nel corso del fuoco delle grandi guerre religiose fra 400 e 500 si forma quella che è l'idea del tutto laica dello Stato moderno contemporaneo.

 

Il potere sovrano dello Stato moderno.

Sono i grandi teorici del cinquecento in qualche modo precorsi tutti dal nostro Machiavelli. Le parole più dure, più esplicite a questo proposito le conoscete tutti, ma mi è utile ripercorrere questa storia per evidenziarne i tratti più salienti. Insomma le parole di Machiavelli e, a seguire, le parole di Hobbes. Uno Stato moderno se vuole superare le condizioni di conflitto e di contraddizione che dominano nella società deve erigersi a potere sovrano. Quando si dice potere sovrano si intende qualcosa di molto preciso. Il potere sovrano è un potere fonte di legge e non è a nessuna legge subordinato. Questo è il concetto di sovranità. Il sovrano è concepibile logicamente e coerentemente come tale, legibus solutus, perché se obbedisce alle leggi non è sovrano, è evidente. Quindi la sovranità dello Stato, così com'è ipotizzata in modo del tutto logico da Bodin, non può ammettere particolari stati di autonomia al suo interno, nessun interesse particolare può ergersi a parte separata dall’intero, deve essere un volto e un aspetto dell’intero. Ciò che vale è l’intero. Ma il sovrano poiché è colui che fa la legge, non può essere a sua volta sottoposto alla legge, è legibus solutus. Queste sono parole esplicite, citazioni letterarie famose, parole che ritroviamo tali e quali in Hobbes. In questo quadro non è possibile alcuna potestas indiretca, questo è molto importante. Lo Stato non può, per definizione, concedere un qualche potere indiretto ad altri soggetti. Questo comporterebbe che, in temporalibus, in uno Stato possano esservi diverse autorità. E invece non possono esserci diverse autorità in uno Stato. Quindi l'affermazione netta della laicità dello Stato in questo contesto suona appunto in questi termini. E si può meglio definire come una sovranità totalmente laica la cui legittimità ha una fonte che nulla ha a che vedere con una fonte di altro genere, appunto di carattere religioso trascendente etc..Quindi uno Stato che detta le leggi e non ammette all'interno dei suoi confini nessuna potestas indirecta.

 

Hobbes: no ai seductores, no alle sette.

Hobbes esplicita qual è l'obiettivo polemico di questo discorso e lo esplicita in modo durissimo nel Leviatano.
Chi sono costoro che minacciano di fare parte a sé nello Stato minandone così la sovranità?
Chi sono i seductores, coloro che vogliono sedurre, cioè portare letteralmente lo Stato fuori strada?
Chi sono i seductores che minano l’unità e la indivisibilità del potere statuale?
I peggiori sono i papisti. E qui Hobbes è del tutto imparziale,da questo punto di vista, perché aggiunge: i papisti sì, ma anche ogni forma di setta. All’interno dell’organizzazione statuale è vietato fare setta, nel senso letterale del termine, fare a sé. Ci sono interessi privati di carattere evidentemente economico, ma non possono esservi sette da un punto di vista non solo politico, ma neanche religioso, perché anche questo minaccia in temporalibus, appunto, l’unità e l’indivisibilità del potere statuale. Un’unica fonte dunque della Legge e un’unica potestas che non ammette nulla di diverso e autonomo. Come quella che di fatto eserciterebbe anche una setta che volesse presentarsi semplicemente come setta religiosa, senza nessuna implicazione politica. In realtà questa sarebbe nient’altro che un’ipocrisia, perché darebbe vita ad una organizzazione nello Stato, una organizzazione che fa a sé, setta, nello Stato, una organizzazione che vuole valere di per sé nello Stato.
Quindi questo è il concetto fondamentale da capire se vogliamo andare alla radice dei problemi e delle contraddizioni che in qualche misura ancora ci dividono. Questo è fondamentale, cioè che l’atteggiamento della sovranità statuale e che è assolutamente definito fin dall’inizio a questo proposito. La dimensione religiosa propriamente religiosa può aversi luogo nello Stato, nella organizzazione statuale, soltanto nella misura in cui non dà vita ad alcuna potestas indirecta, non dà vita ad alcuna setta, insomma rimane esclusivamente affare privato.
Nell’intimità di ognuno di noi è libero di credere quello che vogliamo.

 

La libertas philosophandi.

Ma attenzione perchè questa che viene affermata da filosofi come Hobbes e Spinoza, è una posizione completamente diversa da una libertas philosophandi.
Nel contesto generale, voi sapete che è lo stesso atteggiamento che Spinoza ha nei confronti dei filosofi. Perché se noi leggiamo queste affermazioni in termini sistematici, come vanno lette, la situazione è completamente diversa.
Da un lato è una libertà puramente privata, proprio dell’idiota, tornerò su questo termine, che è libero di pensare a livello interiore quello che vuole in materia religiosa, o meglio in materia di fede, e dall’altra la libertas philosophandi è rivendicata in un senso completamente diverso. Viene rivendicata come la libertà di ricerca, di indagine scientifica che viene comunque e dovunque affermata come il motore essenziale della crescita e dello sviluppo dello Stato moderno contemporaneo.
Cioè mentre da un lato tu hai una libertas religiosa che viene meramente tollerata nella intimità del proprio cuore e dico cuore perché non ha a che fare con la mente, per costoro, dall’altro tu hai la libertà di ricerca, certo individuale, ma che viene affermata e viene riconosciuta come elemento essenziale della modernità e della contemporaneità.
Quindi lo Stato rispetto alla libertas philophandi, fa i propri interessi di fondo. Infatti in Olanda, esempio tipico dove vi è libertas philodophandi, si vede lo straordinario progresso civile economico e sociale.
È completamente diverso.

 

La libertà religiosa.

Quindi il discorso non è affatto applicabile alla libertas religiosa .
Quindi vi è una dissimmetria radicale da un punto di vista sistematico tra il riconoscimento della libertà religiosa e il riconoscimento della libertà della filosofia e anche della scienza che era, come giusto che fosse, perfettamente simbolica.
Qui nella libertas philophandi ci troviamo in una situazione tutta simmetrica rispetto all’altra, attenzione tutta simmetrica. Da qui tutte le tensioni e le contraddizioni che, premetto una conclusione generale, che sono parte della vita e della energia, della potenza in tutti i sensi della nostra cultura e della nostra civiltà. Tensione, polarità, dissimmetrie dentro alle quali troviamo appunto energie.

 

La posizione dello Stato laico.

Vediamo le origini della posizione dello Stato laico, cercando di seguire una posizione logica come sono stato invitato a fare, e di vedere questo problema sotto un profilo logico e filosofico e non cronachistico o sociologico.
La posizione dello Stato moderno contemporaneo, lo Stato laico nella sua essenza, riconosce, e ripeto, riconosce, non soltanto tollera, la libertà religiosa.
Sì, ma la riconosce almeno nella sua origine come libertà interiore.
È come la filosofia?
No, non è come la filosofia. Non c'entra assolutamente nulla, dissimmetria profondissima.
E allora, come la riconosce?
Come libertà di esprimersi. Certo che posso anche dire, esprimere la mia fede.
Perché posso dire la mia fede?
Tutta questa idea viene prima ancora di Machiavelli. Non ha una fonte europea, ma averroistica. Averroè influenza tutto questo filone della cultura politica europea, e non a caso Averroè non esiste nell'Islam, è totalmente assente, fuorché in alcune sette intellettuali a partire dalla sua stessa epoca.
Certo che tu puoi esprimere anche la tua fede, ma in che termini la puoi esprimere?
Nei termini in cui essenzialmente la religione, può valere in temporalibus l’affermazione religiosa, può valere soltanto nei termini in cui invita all’obbedienza. Cioè mentre i dotti, coloro che possono aspirare alla filosofia, usano la mente per capire, per attingere alla verità, e per indicare il fondo, la sostanza religiosa delle stesse tradizioni, la sostanza di verità delle stesse tradizioni religiose, io che ho Spinoza vi spiego come dovete pensare Dio. Così come diceva Averroè.
Questo non può essere insegnato agli indotti che sono la grande moltitudine, e la religione in temporalibus ha questa funzione essenziale, attraverso la sua applicazione, e in questo non è solo tollerata, ma ne è riconosciuta la validità. È la religione che si limita ad invitare, a predicare e ha indurre gli indotti alla obbedienza. Questo lo trovate in tutti gli autori che ho citato, in tutta questa tradizione.

 

La religione come strumento,come favola.

E i grandi profeti questo fanno, dice Spinoza nel Trattato filosofico e politico. La loro profezia, il loro dire, di cui il filosofo può indicare in fondo la sostanza di verità, ma che vengono comunicate ad una moltitudine, fanno di una moltitudine un popolo che non potrebbero fare in altri termini se non con una favola religiosa. Ma bisogna capirlo bene, costoro intendono le tradizioni religiose come favole. Questo è il punto. Questo è il punto di tensione, dissimmetrico, non è semplicemente una tolleranza o un riconoscimento della dimensione religiosa. Fosse così semplice, no, è una critica radicale della tradizione religiosa. Cioè, i grandi teorici dello Stato laico, svolgono, se noi andiamo al di là della parola, allo spirito dei loro interventi e dei loro grandi sistemi, svolgono una critica radicale alla tradizione religiosa, e intendono il valore soltanto in una chiave, diciamo così etica, ma la parola è già troppo impegnativa. Possiamo dire, poi con quella che sarà la teoria di fondo, nell’epoca cosiddetta della secolarizzazione, da parte dell’ideologia liberale, la derubricazione del fenomeno religioso a fatto etico. Nella predicazione religiosa a predicazione etica. Interessati, intenzionati essenzialmente a produrre obbedienza all’interno dello Stato. Un Stato in cui la sovranità è unica, indivisibile e il cui sovrano è l’eticus solutus.
Questo è il nocciolo originale.

 

Ma non c’è divisione dei ruoli e delle parti.

Questo è il nocciolo originale. E capite bene quanto sia complesso, quanto sia difficile, quanto sia contraddittorio. È fatto di dissimmetrie. Guai a cadere nell’equivoco che tutto possa essere risolto soltanto affermando che vi è un potere politico autonomamente fondato che attua da sé, in una sua dimensione ben circoscritta e pacificata la testimonianza religiosa.
Non è così! Non vi può essere questa vieta divisione dei ruoli, questa vieta divisione delle parti. Perché da un lato c’è un potere che costitutivamente deve affermare un discorso, grosso modo analogo a quanto vi ho detto nei confronti della dimensione religiosa e la dimensione religiosa non potrà mai farsi derubricare, in modibus, semplicemente a educazione dei costumi all’obbedienza.
Come lo Stato laico non può derubricare se stesso a pura amministrazione tecnico-economica. Non può dire io sto in temporalibus e gli altri stanno in modibus
Lo Stato non può rinunciare ad una autorità che appunto non sia quella che deriva soltanto da un buona amministrazione.
Così dall’altra parte non può esistere una dimensione religiosa che si accontenti, che si soddisfi all’interno della predicazione etica volta a tenere buoni.
Se noi insistiamo in questa utopia neanche tanto generosa di pensare che la laicità dello Stato possa contemplare là fuori come un altro fuori di sé e dividersi tranquillamente le parti. Neanche in una commedia succede così, non dico in una tragedia, come quella europea.

 

L’utopia liberale.

Dividersi tranquillamente le parti, io che faccio il politico tu che ti interessi di questioni religiose. Questa è una utopia che di volta in volta emerge anche nella storia europea.
Un’utopia soprattutto liberale, di un certo liberalismo che si immagina che si possa depotenziare la dimensione politica dello Stato fino a ridurlo quasi a funzione tecnico amministrativa, si possa superare questa dimensione politica. E perché? Perché nella dimensione politica c’è inevitabilmente anche la volontà di essere autorevoli da un punto di vista spirituale.
E quando tu entri necessariamente facendo politica, in questa dimensione, ogni astratta separatezza viene necessariamente meno e comincia un’altra cosa, comincia il dialogo, comincia il der sprecht . Che è il padre di tutte le cose.

 

 



La dimensione religiosa non può essere neutrale.

Forse potamòs (panta rei os potamòs) di quel signore cosiddetto presocratico può essere anche tradotto così: tutte le cose colloquiano, anche laddove vuoi tenerle assolutamente separate.
Tu taci in munere alieno. Tu teologo taci in munere alieno.

*Silete theologi in munere alieno.
Alberico Gentili di San Ginesio (Macerata) è uno dei fondatori del diritto internazionale.
Nel 1588 intimò ai teologi di tacere in faccende che non li riguardavano, e di passare la mano ai giuristi, dando formalmente inizio al processo di secolarizzazione. (ndr)
Ma come faccio a tacere in munere alieno?
Sì, tacerei in munere alieno se fossi soltanto un predicatore di obbedienza. Ma invece non è così. Il discorso religioso si svolge anche al di là di ogni pretesa ierocratica. Non si tratta di nostalgie ierocratiche. Anche all’interno dello Stato moderno contemporaneo che cos’è che dice, che afferma, che predica, che profetizza, una dimensione religiosa?
Io teologo svolgo il discorso religioso volente o nolente, se è tale, e se è tale non può essere semplicemente un’etica, un invito ai costumi buoni, all’obbedienza.
E se è così ecco che svolge necessariamente una critica nel senso letterale del termine, mette costantemente in discussione ogni pretesa di totalità di quella sovranità del legibus soluta.
Questo fa, e questo è.
I Bodin, gli Hobbes e gli Spinoza lo capiscono perfettamente. Certo voi direte la condizione storica, le guerre di religione, sì, ma queste non erano persone che ragionavano soltanto sui fatti, erano dei grandi filosofi che ragionavano in modo sistematico, ragionavano per l’eterno. Certo, a partire da quella situazione storica .
Ma lo Stato moderno non vuole condividere con altri la propria autorità.
Ma dicevo per l’appunto che la teoria dello Stato non può reggersi, laddove all’interno ci siano altre autorità vere, autentiche autorità e un’autorità non è un’autorità se non svolge anche una qualche potenza spirituale.
Queste sono le potenti dissimmetrie che regolano questi rapporti, queste dimensioni.
Per cui appunto da un lato una dimensione religiosa che è sempre riserva critica nei confronti di ogni sovranità che si manifesti non soltanto come indivisa, ma anche tendenzialmente sempre legibus soluta. Questa tendenza, questa tentazione non è immanente allo stato moderno contemporaneo. Non vengono i marziani da fuori, quando si presenta quello che dice sono sciolto dalle leggi, sono absoluto e si assolve. Non è l’invasione dei marziani.
È qualcosa che è una possibilità immanente all’idea di Stato moderno contemporaneo. Ed è questo pericolo che viene costantemente criticato e contestato dalla dimensione religiosa, al di là di ogni prospettiva ierocratica, non è assolutamente necessario che si collochi in una prospettiva ierocratica. È la riserva escatologica della dimensione profetica nei confronti dello Stato laico e moderno contemporaneo che ha immanente in sé, intrinseca e connaturata in sé questa possibilità. È la possibilità con cui occorre costantemente reagire, a volte questa possibilità emerge in modo tragico, a volte in modo farsesco, ma questa possibilità dello Stato proprio per la sua natura e per la sua origine di presentarsi come qualcosa di totalizzante e legibus absolutus è immanente alla sua natura e la dimensione religiosa al di fuori della prospettiva ierocratica, avanza una ricerca escatologica continua contro questa possibilità.

 

Necessità di dialogo tra le due posizioni.

E allora e d’altra parte uno Stato laico non dovrebbe riconoscere pienamente e cioè farsi da sé critica in senso letterale, cioè capire, che vuol dire giudicare, non dovrebbe sapersi in ogni istante della sua storia e del suo divenire giudicare anche sulla base di questo parametro?
C’è la riserva escatologica che è propriamente religiosa e c’è il giudizio dello Stato.
Come mi colloco all’interno di questo vulnus, di questo conflitto, di queste contraddizioni?
Come guarisco da ogni tentativo da ogni tentazione di pormi come sovranità una e indivisibile. perché il mio potere resti indivisibile?
Perché questo mito deve reggere?
E’ necessario questo mito unitario totalizzante della sovranità?
Non potrebbe starci che il potere possa anche essere diviso tra diversi soggetti, nell’ambito suo, del potere laico, del potere statuale?
L’idea del federalismo non è questa?
Il federalismo è proprio questo: l’unità rimanendo tale può essere esercitata e amministrata da diversi soggetti. Responsabilizzando diversi soggetti alla amministrazione dell’unità. L’unità non è necessariamente uno. L’unità non è necessariamente il sovrano.
Ecco allora dove può nascere il dialogo. E nello stesso tempo questa posizione da parte dello Stato laico può reagire contro tutte le possibilità interne alla riserva escatologica religiosa.
Da questo punto di vista se lo Stato laico riesce a svolgere in sé, questo giudizio di sé, dare questo giudizio, essere in posizione critica nei suoi stessi confronti.
Senza contentarsi continuando a dire Stato laico, Stato laico, Stato laico, credendo che con questo ritornello dice qualcosa.
Se sei in posizione critica costantemente nei confronti della tua storia, della tua natura, allora sì puoi esercitare efficacemente la critica, alle tentazioni, alle seduzioni che la dimensione religiosa a suo volta può avere.
Perché certo che anche lì anche nel suo principio, vivono un insieme di possibilità contraddittorie.
Vi è la riserva escatologica, ma vi è anche la tentazione di fare di questa riserva escatologica più o meno immediatamente legge.
C’è la tentazione della religio civilis che è immanente alla dimensione religiosa, è immanente alla dimensione profetica.
Io avanzo la mia riserva:
Bada Stato, tu hai limiti. Il tuo potere è un potere sinottico determinato e può valere soltanto in questo ambito.
TU Stato, critica il mito della tua indivisibilità e della tua unità sovrana, perché ciò non è assolutamente necessario.
La dimensione profetica può svolgere questa funzione, ma capovolta al suo interno, la dimensione profetica non può eliminare la possibilità di presentare questa riserva come elemento fondante di un’attività puramente amministrativa e legislativa. Questa possibilità rimane aperta.

Ma uno Stato laico capace di auto criticarsi continuamente è in grado di denunciarla con efficacia.
Ecco allora il dialogo, ecco il dialogo tra responsabilità politica e convinzione religiosa.

La responsabilità della politica.

La responsabilità di un politico si fonda sulla consapevolezza dell’essere tutto limitato nel suo potere, e sulla base di questa consapevolezza il potere può essere articolato in termini appunto federali.
E nella consapevolezza che dall'altra parte non hai le favole, non hai la religione derubricata a etica, ma hai o al limite a questo punto, desideri di avere la profezia. Perché la profezia è quello specchio custode nei tuoi confronti se ce l’hai davanti autenticamente. È un richiamo forte al tuo limite e ti impedisce in qualsiasi momento di immaginare che il tuo potere detenga un’autentica autorità spirituale. E nello stesso tempo ti riconosce l'autorità spirituale, si è anche mosso al dialogo con lei, con quell'altra dimensione, al rapporto, alla creazione. E qui hai tutta la capacità e la forza di denunciare in quell'altra dimensione i tentativi che ricorrono inesorabilmente, e che non guariranno mai, perché l'Europa come diceva Nietzsche è quel malato che quando guarirà creperà.
Quell'altra dimensione, in cui la possibilità appunto dell'affermazione non dico ierocratica, ma dell'affermazione di far valere quella convinzione come legge, è sempre aperta. Da un lato la responsabilità. Io so il mio limite. Quello è il mio fine storicamente determinato. Quelli sono i mezzi con cui intendo perseguirlo in modo assolutamente trasparente e chiaro. Questi sono i mezzi e me ne assumo la responsabilità, cioè sono perfettamente imputabile di tutto ciò.
La gente deve sapere appunto il mio fine, i mezzi che intendo e gli effetti del perseguire quel fine mi devono essere tutti imputabili.
Questa è l'idea retroattiva della responsabilità politica.
Ed un politico che si definisce in questi termini critici è il migliore critico di ogni tentativo da parte della dimensione chiamiamola della convinzione religiosa di farsi legge, all'interno dello Stato.
Perchè la convinzione religiosa afferma dei valori che sono diversi da quelli del politico, certo. Mica sono valori storicamente determinati.

 

Il limite della posizione laica.

Ed è qui il peccato mortale da parte del laico. Di ritenere che la religione possa essere derubricata a valore storicamente determinato tanto da potergli dire: togliti di mezzo. E tutte le ideologie sulla secolarizzazione sono state queste: la religione si toglierà di mezzo. E non so, può darsi anche che si toglie anche di mezzo, ma poi i risvegli sono bruschi.
E poi cosa succede? Succede niente. Succede sì ‘sto disastro dello spirito europeo, dello spirito mediterraneo.
Quindi bisogna riconoscere questo dialogo in tutta la sua pericolosità. Ma i dialoganti saranno tanto più dialoganti, e tanto meno polemici, nella misura in cui sapranno i pericoli che hanno all'interno del loro linguaggio e della loro dimensione. Sapranno quanto pericolosi sono il loro linguaggio e la loro dimensione. E tanto meglio lo sapranno quanto più si riconosceranno.
• Perché io appunto sullo specchio dell'autentica convinzione religiosa riconosco molto bene il mio limite e quindi so benissimo criticarlo in ogni mia aspirazioni totalitarie in qualsiasi modo si presentino.
• E la convinzione religiosa sullo specchio della responsabilità politica, a sua volta saprà meglio riconoscere qual è il proprio linguaggio e la propria interiore dimensione, che è quella appunto della riserva escatologica non di imporre la legge.
Anzi ancora di più: riconoscerà che la religio civilis, che la tendenza alla religio civilis è proprio bestemmia.
Questo va detto direi va gridato. La tentazione della religio civilis non è qualcosa che il politico laico, il politico responsabile, debba denunciare come il peccato, diciamo la colpa di un avversario politico.
No, il politico laico, nei termini che ho detto, dovrebbe tentare nel suo dialogo con la convinzione religiosa di dire: bada è un tradimento per te e in te. Perché se la tua essenza è quella di esercitare questa formidabile critica che è la riserva escatologica rispetto ad un assetto politico, nella misura in cui tu tendi ad una forma di religio civilis tradisci te stesso, non è che fai del male allo Stato laico, ma tradisci se stesso, Bestemmi la tua natura. Questo è il discorso da fare, questo è il discorso efficace nei confronti di chi è autenticamente convinto religiosamente, questo è il discorso da fare.

 

Il logos è laico.

È il fondamento della laicità di credenti e non credenti..
La nostra tradizione, la nostra cultura, avrà tante radici ma sicuramente tra queste ne ha fondamentale per spiegare lo Stato moderno contemporaneo, la sua natura.
E questa è, diciamolo con una battuta sola, IL LOGOS di cui parliamo, il logos di cui parla anche colui che è religiosamente convinto, questo logos è laico!. Cioè quello che bisogna comprendere è la laicità profonda di quel logos, di quel verbum, la laicità profonda. E ogni tentativo di fare di quel verbum legge dello Stato, di farlo valere come religio civilis, lo tradisce nell’essenza, e non è qualcosa che danneggia soltanto l’organizzazione statuale, ma rovina la dimensione religiosa.
Io credo che questo sia l'atteggiamento efficace rispetto al dialogo tra la dimensione della responsabilità e la dimensione della convinzione.
Se così avviene dobbiamo affrontare anche il tema della laicità e dei fondamenti della laicità.
La laicità non è un qualcosa che si possa definire astrattamente. La laicità è un atteggiamento critico, ma direi di più, un atteggiamento critico che sa di potere contare soltanto su un riconoscimento reciproco e che sa che il riconoscimento non è qualcosa che avviene gratis, avviene attraverso fatica, riconoscersi è faticoso, riconoscersi significa imparare il linguaggio dell'altro, riconoscersi significa passare attraverso migliaia di fraintendimenti.
Il laico è colui che va avanti in questa fatica del riconoscimento reciproco, dell’ avvicinarsi al prossimo che è lo straniero.
Ebbene tutti questi sono elementi quintessenziali che ha detto quel logos. Ma come si fa a non dire questo laicamente.
Avvicinati al prossimo. Ma il prossimo, parabola del buon samaritano, è lo straniero, ma lo straniero più straniero!, quello a cui il prete non poteva neanche avvicinarsi.
Avvicinati al prossimo, fai questa fatica. Questo è il dialogo è questa la relazione, la relazione tra distinti, che tanto più sanno se stessi, quanto più si avvicinano e questo è un avvicinarsi continuo, che non terminerà mai, all'altro.
Questo è il laico secondo me. Questo è spirito laico.
Non credere, diciamo così, che la mente il logos sia dalla mia parte e dall'altra parte qualcosa di non tollerante o le favole o qualcosa che ha soltanto una valenza etica o politica, o qualcosa che vi serve soltanto come religio civilis.
Ecco dov’è il peccato mortale. Dove quella dimensione che avrebbe quell’enorme valore di laicità del logos, come prima dicevo, assume esattamente il punto di vista dei suoi critici, che è appunto la volevano soltanto religio civilis.
Tu hai una dimensione soltanto civile. Tu mi garantisci soltanto l'obbedienza degli indotti. Religio civilis.
E allora io credo che queste occasioni servono appunto a bilanciare il discorso laico in senso di grande respiro. Dove i valori della laicità non appartengono al politico o al filosofo piuttosto che all'uomo di fede, ma una laicità del non credente, una laicità del logos, perfettamente spiegabile e comprensibile anche dal non credente.
E all'interno di questo discorso così di ampio respiro andare appunto a distinguersi, ma una distinzione che è insieme riconoscimento reciproco, riconoscimento del valore dell’altro perché io sia pienamente me stesso. Perché io sia pienamente politico responsabile del valore della tua profezia. Il valore deve essere il responsabile politico per l'affermazione della tua convinzione.
In questo quadro generale, riaffermare e riconoscere il valore della laicità e della laicità del nostro Stato.
In questo quadro generale, in cui siamo laici da una parte non laici dall'altra, ma siamo laici tutti davvero credenti e non credenti ma non a chiacchiere ma per questi motivi, storico, filosofici, possiamo davvero dirci tutti laici, credenti e non credenti, laici.

Io credo che se non faremo questo sforzo i laici tradiranno se stessi e i non laici tradiranno se stessi.
È questo secondo me è davvero il pericolo che stiamo correndo.