Giancarlo Sacconi

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Invidia

Invidia: una brutta compagna.

L'invidia è il non riconoscere la superiorità di un altro perché non si accetta che qualcuno possa essere superiore a noi.
Non vorrei nessuno al di sopra di me.
Quindi l'invidia è la nemesi della superbia e proprio in quanto condizionata da questo aspetto punitivo, essa non è mai dichiarata.
L'invidioso non dice di essere invidioso, perché se solo lo dichiarasse, indirettamente riconoscerebbe di valere di meno.
Fra i vizi, l’invidia ha questa caratteristica singolare: è un vizio che, oltre a non essere dichiarato, non dà soddisfazione.
Infatti l’invidia provoca un sentimento che tortura.
Nella lussuria c'è piacere, nella gola c'è piacere, in genere in tutto il mondo del vizio c'è un piacere (sbagliato e transitorio perché altrimenti non sarebbe vizio), ma c'è un piacere. Non nell’invidia.
L'invidia poi si trasforma in odio, in voglia di distruzione di ciò che è migliore di me. Da questo punto di vista l’invidia diventa una potente arma di distruzione, perché non solo si vuole distruggere l’oggetto, ma se ne vorrebbe persino cancellare la memoria, perché anche l'ombra può tornare.

 

L'invidia si può contrastare.

 Se scegliamo modelli alti, se ci cimentiamo con cose grandi, noi percepiamo la distanza che c’è tra noi e la figura presa a modello, e così non si cade nella mediocrità dell'invidia.
Essere virtuosi significa anche cercare di portare all’estremo questo confrontarsi. Solo così si arriva a trovare la nostra giusta misura. E non solo non saremo invidiosi della superiorità del nostro modello, di chi è più grande di noi, ma gli saremo riconoscenti e grati. Non si invidia Aristotele, si può invidiare il collega di lavoro.

In altra parte si è visto che vizi e virtù hanno una stessa radice.
Ora è chiaro che il vizio è un elemento di distorsione, però non dobbiamo dimenticare che alla base del vizio c'è pur sempre una potenza. E quindi il vizio può presentarsi ambiguo nel senso che se aggiustato, corretto, può essere riportato nell'alveo del bene.
Prendiamo l'invidia che non riconosce ciò che è superiore, e quindi è odio e distrugge. Ma correggiamo un po' il sentimento dell'invidia, e mettiamolo in questa forma. Io vedo il successo di qualcuno, mi domando: se lo è meritato? Le condizioni di partenza tra me e lui erano uguali?
A questo punto la domanda diventa una domanda di giustizia, non è più invidia.
Allora interrogarsi sulla legittimità di un successo non è atteggiamento invidioso.
Non riconoscere la qualità del successo è un atteggiamento invidioso.