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					 Si può essere aggressivi per esuberanza, per una forma di 
					vitalità non spesa. Oppure per rabbia, scontentezza di sé. 
					Spesso per una insicurezza profonda, cioè per un bisogno 
					ostentato di affermazione. Infine per timidezza, quando si è 
					decisi a nasconderla agli altri o a noi stessi.  
					  
					Il maschio è talmente educato all'aggressione, che se vi 
					rinuncia anche la sua libido si scarica, privata di colpo 
					degli stimoli tradizionali, quasi che la donna amata sia 
					qualcosa da espugnare ogni volta, su cui riaffermare un 
					diritto perduto o conculcato, un forziere da riaprire con la 
					forza, 
					  
					L'aggressività è necessaria per sopravvivere, per non farsi 
					divorare da chi è più forte, oppure per farsi rispettare da 
					un prevaricatore, quando non sia per farsi largo a gomitate, 
					anche se è difficile stabilire, come insegna Fromm, quale 
					sia l'impulso distruttivo «buono» e quale sia il cattivo, 
					visto che sono entrambi figli della stessa madre.  
					   
					Esiste un'aggressività segreta e invisibile, che quasi non 
					si manifesta, ma che è più nociva di un'aperta cattiveria 
					poiché è preparata da lontano, simile a una bomba a 
					orologeria. Essa è fatta di dissimulata avversione, di 
					piccole resistenze, di minime diffamazioni, a volte 
					inconsce, che però lasciano un segno indelebile in chi le 
					riceve.  
					Si può essere più aggressivi con una calunnia o con una 
					confidenza divulgata, che attraverso un gesto brutale. E 
					ugualmente con una frase, più offensiva di uno schiaffo 
					perché più bruciante e durevole.  
					 
					L'aggressività dorme dentro di noi come una belva pronta a 
					svegliarsi. È facile imbattersi in un guidatore che non dà 
					strada, in un funzionario supponente, in un passeggero 
					deciso a fare il furbo: sono situazioni che funzionano come 
					esche, la nostra aggressività vi si impiglia subito, troppo 
					tardi ci accorgiamo di essere caduti nella trappola, poiché 
					ormai siamo impegnati a difendere il nostro onore.  
					Succede allora che, in preda a questo istinto virulento e 
					incontrollabile, ci si lasci andare a espressioni di cui non 
					ci saremmo creduti capaci, o ad azioni che mai ci saremmo 
					aspettati di compiere.  
					L'aggressività è una ghiandola malata, una spia rossa che si 
					accende per segnalare un'alterazione, un guasto nei 
					meccanismi. Quando si rompe la crosta dell'educazione e 
					della cultura, subito zampilla fuori questo fuoco 
					ribollente. 
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					 Ma dove viene prodotta questa pioggia di lapilli? In 
					quale parte del vulcano? 
					La verità è che la nostra insicurezza è così infinita che 
					esige prove su prove del suo contrario, in maniera da essere 
					continuamente rassicurata. Se, ad esempio, ho di me 
					un'opinione piuttosto elevata, sarò facilmente esposto alle 
					insidie dell'aggressività. Non vedermi tributate quelle 
					attenzioni che ritengo dovute, mi fa esser subito reattivo. 
					E ugualmente il sospetto d'esser preso sottogamba, gabellato 
					per ingenuo o trattato da inferiore.  
					 
					Chi viceversa è servile, o umile, o si stima poco o nulla, 
					vedrà di raro affiorare in sé quell'impulso a offendere, a 
					ferire, se non in casi di estrema difesa, dato che il 
					prossimo appare a costui sempre meritevole di successo, né 
					si attenterebbe a pretendere per sé.  
					 
					Dunque si aggredisce per affermarsi, per imporsi 
					all'attenzione degli altri, ma anche semplicemente per 
					esistere, per non essere travolti, per dar voce al proprio 
					fiato. Così infinite volte si è aggressivi per puro 
					riflesso, condizionati dalle affermazioni, sospinti 
					dall'antagonismo di chi sta attorno, e l’aggressività preme 
					per emergere, agitandosi frenetica in questo mare tempestoso 
					che è la società, dove chi non sa nuotare finisce per andare 
					a fondo.  
					Soltanto un saggio o un rinunciatario possono decidere di 
					lasciarsi galleggiare immobili, di rinunciare a difendere la 
					propria immagine a ogni costo, come noi invece siamo soliti 
					fare.  
					 
					Ma come cambiare un mondo che sembra obbedire solo alle 
					leggi del più forte? Forse basterebbe rovesciare certi 
					valori: smettere di osannare il vincitore, o di pensare che 
					ci sia nella vittoria una fatalità superiore, e quindi un 
					merito.  
					 
					Cominciamo con l'identificarci in altri modelli, e a 
					glorificare altri eroi: chi lotta in silenzio, chi soffre da 
					solo, chi si batte sapendosi già sconfitto. Quanto 
					all'aggressività, nessuna paura che ne soffra. Ne resterà 
					sempre abbastanza da farci pentire, per un gesto o per una 
					frase.  
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